La caffettiera

La caffettiera

 

«Caro?» chiese l’anziana e vispa Giovanna, detta Giovi.
«Sì?» domandò a sua volta Alfredo, detto Alfie e marito di Giovi.
«Vai di fretta?»
«Sono due anni che sono in pensione. Lo sai che la mattina non sono mai di fretta.»
«Bene, anzi benissimo direi. Potresti dare un’occhiata alla caffettiera?»
«Alla caffettiera?»
«Sì.»
«Perché dovrei dare un’occhiata alla caffettiera?»
«Perché c’è qualcosa di strano!»
Alfie entrò in cucina. Sui fornelli, ormai spenti c’era la caffettiera incriminata: una moca comprata in viaggio a Napoli almeno due decenni prima. Seduta al tavolo c’era Giovi, intenta a spalmare della marmellata di albicocche su una fetta biscottata.
«Qual è il problema?» disse lui osservando la caffettiera da vicino. Grigia e metallica come sempre.
«Solleva il coperchio Alfie. È da qualche giorno che la moca ha deciso di farmi questo scherzetto.»
«Parli come se la moca avesse una coscienza e un pensiero tutto suo» brontolò Alfie sollevando il coperchio. Perplesso si voltò verso la moglie e lei si limitò ad annuire.
«Questo…» esordì lui «…questo non è caffè!»
«Per l’appunto. Credo sia guasta!»
«No» rispose lui scuotendo il capo. «Non credo che un guasto possa causare un simile difetto, ma fammi dare un’occhiata all’interno.»
La aprì nel mezzo ed esaminò attentamente il contenuto. Trovò solo i resti del caffè in polvere.
«Sicura che oggi non sia il primo di Aprile?» domandò sollevando il sopracciglio destro.
«Ma certo che no, sciocco. Non ti sto facendo uno scherzo. Negi ultimi giorni volevo prendere il mio solito caffè a colazione, ma la caffettiera non sembra essere della stessa opinione.»
Alfie si irritò a quell’ultima affermazione.
«Perché continui a parlarne come se fosse una cosa vivente?»
«Perché, se così non fosse, che spiegazione potresti darmi?»
«C’è sempre una spiegazione logica e razionale Giovi! E lo sai benissimo anche tu! Piuttosto, questo liquido verde che, evidentemente, non è caffè, cosa credi possa essere?»
«Tè verde. Non vi è alcun dubbio.»
«E come fai a esserne così certa?»
«Perché negli ultimi giorni ho dovuto bere quello al posto del caffè!»
Alfie si irritò ulteriormente.
«Cioè tu hai bevuto quella cosa senza sapere cosa fosse? Potrebbe essere veleno per quanto ne sappiamo. Magari il filtro è sporco, o forse l’acqua che hai usato è …»
Alfie avrebbe continuato per ore grazie alla sua irreprensibile pedanteria, ma Giovi lo fermò.
«Sono venti anni che uso quella macchinetta. Sai che l’ho sempre pulita alla perfezione e che ho sempre preso tutte le accortezze necessarie. L’ho tenuta lucida e splendente dal primo giorno in cui ha messo piede in questa casa.»
«Eppure hai asserito anche tu, poco fa, che essa abbia un guasto di qualche tipo» replicò lui cercando di dare credito al suo ragionamento.
«Sì, non lo nego. Ma per guasto io intendo un numero differenti di cose.»
E Alfie sapeva che era vero. Sposati da oltre quarant’anni si conoscevano alla perfezione. Per Giovanna tutto ciò che non rientrava nell’ordine normale delle cose aveva subito un guasto. Una volta lei e Alfie erano stati invitati a cena da alcuni amici, ma proprio la mattina prima un terribile attacco influenzale li aveva entrambi costretti a letto. Quando comunicò all’amica l’impossibilità di presentarsi da loro quella sera, Giovanna disse che erano entrambi a letto per colpa di un guasto e che il dottore aveva previsto non meno di tre giorni per le riparazioni.
«Tè verde…» mormorò Alfie «… la confezione del caffè? Dove l’hai messa?»
«È lì accanto a te, sul ripiano di marmo.»
Alfie non l’aveva vista. Diede un’occhiata al suo interno, ma anche in quel caso trovò unicamente polvere di caffè.
«Ti dispiace se faccio una prova io?»
«Niente affatto» rispose lei incrociando le braccia e corrugando la fronte, aggiungendo infine: «Malafede.»
Fu così che Alfie decise di preparare egli stesso del caffè. La moglie nel frattempo accese la tv, un tubo catodico da quindici pollici incastrato tra le mensole di un mobiletto posto in un angolo. Il telegiornale stava trasmettendo le ultime notizie sulla politica estera del giorno precedente.
«Ecco fatto» disse Alfie accendendo il gas. «Ora stiamo a vedere.»
Fu così che restarono in silenzio per alcuni minuti. Alfie guardò passivamente la televisione, mentre Giovi evitò accuratamente lo sguardo del marito. Come poteva non credere alle sue parole? Eppure lei sapeva bene che le cose non sarebbero potute andare diversamente. Lo conosceva da una vita e nel corso della loro storia non si era mai comportato differentemente da come stava facendo quella mattina.
«Eccolo che arriva!» disse Alfie soddisfatto, mentre nell’aria iniziava a diffondersi l’inconfondibile aroma del caffè. Una sensazione di beatitudine per chi è abituato ad assumere quella sostanza quotidianamente.
Alfie sollevò il coperchio.
«Allora?» domandò Giovi interrompendo il silenzio, piuttosto duraturo, imposto dal marito.
«Ecco…» balbettò lui. «Non so come spiegare…»
«Tè verde vero?» fece lei «Se è così, dammene un po’.»
«Vorrei che fosse così» rispose Alfie incredulo «Ma temo che dovrai accontentarti di altro.»
Giovi si alzò incuriosita e si portò vicino ai fornelli, reclinando la testa da un lato per cercare di identificare ciò che aveva dinanzi.
«È arancione!» esclamò lei.
«Già» mormorò Alfie «E credo anche di sapere cosa sia.»
«Davvero caro?» domandò. Era soddisfatta nel vedere che anche il marito iniziava a comprendere quello strano fenomeno.
«Sì» continuò lui «è succo di arancia!»
«Succo di arancia? Dovresti berlo allora. So che ne vai matto!»
«Credo sia proprio questo il punto.»
«Non riesco a seguirti.»
«Sì che ci riesci invece. Ero convinto che del caffè sarebbe uscito da questa macchinetta, ma io non avevo alcuna intenzione di berlo.»
«Lo so che tu il caffè non puoi berlo» replicò lei annuendo.
Tre anni prima Alfie era stato dal suo medico perché lamentava alcuni bruciori e dei forti dolori alla schiena, soprattutto al risveglio la mattina. Reflusso gastroesofageo era stata la sentenza e, da allora, era lunga la lista di alimenti in cui doveva limitarsi. Aveva scoperto a sue spese che il caffè era una delle bevande più dannose per il suo organismo in quelle condizioni e, quindi, l’addio era stato inevitabile. Anche il succo di arancia non poteva essere annoverato tra le bibite per lui salutari, ma ogni tanto riusciva a fare uno strappo senza ricadere in spiacevoli conseguenze.
«Quindi non posso dare tutti i torti al tuo ragionamento riguardo questa caffettiera» proseguì Alfie. «Io non posso bere del caffè, ma un buon bicchiere di succo di arancia è in cima alla mia lista. Questa mattina, era proprio ciò che avevo in mente di prendere al bar.»
«Straordinario!» rispose lei.
«Quindi ora devo dedurre che in questi giorni tu abbia avuto un forte desiderio di tè, tale da causare questo spiacevole equivoco con la caffettiera.»
Giovi portò una mano davanti alla bocca e iniziò a ridere di gusto.
«Adesso sei tu che sembri attribuire una coscienza alla caffettiera» commentò continuando a ridere.
«Beh…» borbottò lui rifugiandosi in una composta alzata di spalle. «Non è logicamente spiegabile quello che sta accadendo qui oggi. Salvo che tu non ti sia data all’illusionismo e ai trucchi da prestigiatore in questi giorni.»
«No» rispose lei trattenendo l’ennesima risata. «Puoi stare tranquillo caro che non è mia la colpa di ciò che sta accadendo. Piuttosto devo contraddire l’ultima affermazione del tuo ragionamento.»
«Quale affermazione?» domandò lui spaesato.
«Quando hai detto che io volessi bere del tè in questi giorni. Ciò è assolutamente falso.»
«Non volevi del tè?»
«No.»
«E cosa volevi allora?»
«Del caffè, mio caro. Se avessi voluto il tè avrei preso una delle bustine che abbiamo in dispensa, non trovi?»
«Molto strano, in effetti» commentò Alfie massaggiandosi il mento con le dita della mano destra.
«Magari è solo un periodo» asserì Giovi meditabonda.
«Un periodo? Oh, Giovanna!»
Non era mai un buon segno quando Alfie utilizzava il nome per esteso della moglie. Solitamente era in tono di biasimo e quella volta non faceva eccezione.
«Eri quasi riuscita a convincermi della tua assurda teoria. Una coscienza? Stiamo parlando di una caffettiera! Un oggetto inanimato! E come tale esso non sarà mai in grado di pensare, di agire o persino di rispondere istintivamente agli stimoli.»
Un rumore e poi qualcosa di liquido urtò il volto di Alfie. Giovi si mise immediatamente a ridere. Del succo di arancia era schizzato dalla caffettiera, imbrattando il viso del marito.
«Credo» esordì lei «dovresti fare maggiore attenzione a quello che dici!»
Alfie guardò sconcertato la sua caffettiera. Era lì da anni e non aveva mai dimostrato il minimo segno di stranezza. Non poteva spiegarsi come mai, d’un tratto, avesse iniziato a dare i numeri. Che avesse ragione la moglie nell’asserire che quella caffettiera fosse mossa da pensieri simili a quelli umani?
«Sinceramente…» asserì infine Alfie pulendosi il volto con un panno preso da un cassetto «… io non… non riesco davvero a spiegare cosa stia accadendo.»
«Ammetterlo è il primo passo» disse Giovi come se stessero a una riunione degli alcolisti anonimi o di qualsiasi altro gruppo di sostegno. Non che loro vi avessero mai partecipato, ma entrambi avevano sempre trovato estremamente buffo e insolito il modo di esprimersi all’interno di tali raduni.
«Penso» continuò Alfie «che anche oggi dovrai fare a meno del tuo caffè mattutino.»
Lei sbuffò e allargò le braccia.
«Hai ragione caro» convenne annuendo. «E inoltre temo che il caffè sia finito ormai. Dovresti andare a comprarne dell’altro quando esci.»
«Credo che uscirò tra qualche minuto. Devo ancora riprendermi da questa strana storia.»
«Suvvia caro. In fondo è bello quando le cose non vanno sempre nel modo in cui te le aspetti. La vita sarebbe una noia mortale se fossimo in grado di prevedere la precisa reazione a ogni nostro singolo gesto o a ogni nostro singolo discorso.»
Lui guardò gli occhi della moglie. Era proprio di quel suo spirito che si era innamorato tanti anni prima. Quel suo modo di vivere fuori dagli schemi lo aveva attratto sin dal principio, dato che lui, negli schemi, aveva sempre trovato la sua perfetta dimora.
«Questo è il bello di vivere con te» replicò Alfie sorridendo. «Guardiamo un po’ il telegiornale insieme, poi esco per fare la mia bella colazione al bar.»
Entrambi sedettero al tavolo della cucina, l’uno accanto all’altro, per ascoltare le notizie del telegiornale. Dalla politica si era passati alle notizie di cronaca nera. Il delitto insoluto di una giovane ragazza stava tenendo banco già da qualche giorno e le trasmissioni televisive non potevano esimersi dal banchettare con la sofferenza e il rancore della gente che stava a stretto contatto con la vittima. Lo stesso tg cavalcava l’onda degli ascolti proponendo testimonianze inedite e formulando ipotesi accattivanti, limitandosi comunque a non scendere in particolari troppo scottanti.
«Non credo sia un bene mandare certi servizi al tg» commentò Giovi, piuttosto accigliata. Alfie voleva replicare, ma la notizia seguente lo ammutolì completamente. L’argomento riguardava sempre la cronaca nera, ma le modalità erano del tutto differenti. Avvelenamento. Un uomo era stato trovato morto nel suo appartamento, stroncato da un arresto cardiaco che aveva posto fine alla sua esistenza nel giro di pochi secondi. La causa sembrava essere stata individuata in una sostanza tossica ingerita dalla vittima poco prima del decesso. Veleno per l’appunto. Ma la notizia singolare che sconvolse sia Giovi che Alfie fu il mezzo attraverso cui il veleno era entrato in circolo. A quanto pare un particolarissimo lotto di caffè in polvere era imputato di contenere una sostanza tossica che, nel peggiore dei casi, avrebbe potuto portare alla morte.
«Alfie» fece lei afferrando il gomito del marito «Ma quella non è la marca del nostro caffè?»
Alfie non rispose. Si alzò dalla sedia e andò a recuperare la busta ormai vuota che conteneva il caffè in polvere incriminato. Controllò scrupolosamente la confezione sino a leggere e confrontare il numero del lotto che proprio in quel momento una giovane giornalista, bionda e alquanto avvenente, stava ripetendo ad alta voce agli ascoltatori.
«Che mi venga un colpo!» esclamò Alfie «Corrisponde!»
Giovi sgranò completamente gli occhi, che dalla confezione di caffè andarono a posarsi sulla caffettiera.
«Quindi» proseguì Alfie «se ho ben capito tu non sei mai riuscita a bere il caffè contenuto in questa confezione, giusto?»
«È così» disse lei alzandosi e avanzando verso la caffettiera. «Lei me lo ha impedito. Capisci cosa significa Alfie?»
«Beh…» balbettò lui «… immagino di sì, mia cara.»
Lei sollevò la caffettiera e poi le schioccò un dolce bacio sul suo lucente rivestimento di metallo.
«Lei sapeva Alfie!» continuò lei meravigliata «Ogni volta che io mettevo quel veleno dentro di lei, questo spariva sostituito dalla migliore alternativa possibile!»
«Ma questo è fisicamente impossibile» sbottò Alfie, ma lei non lo stava più ascoltando. Accarezzava la sua caffettiera in segno di riconoscenza.
«Lucida e splendente sin dal primo giorno» diceva Giovi sorridendo.

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La caffettiera di Claudio Boccuni è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

2 Comments
    • Che dire se non grazie? Sono lieto che tu sia giunta sino al termine di questo alquanto lunghetto racconto (lungo perché ritengo sempre che a video non si possa leggere più di tanto) e soprattutto felice che ti sia piaciuto il finale. Il genere ricalca un po’ una serie tv che vidi da bambino “Storie Incredibili” e che se dovesse riapparire nei palinsesti televisivi consiglio a chiunque di vedere.

      Per quanto riguarda il Liebster Award, ti ringrazio, ma non sono solito partecipare a questo genere di cose 🙂

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